Dieta ed artrite, connubio cruciale

Un cruciale connubio
Microbiota_artrite_reumatoide

La maggioranza delle malattie reumatiche croniche, quali l’artrite reumatoide (AR), sono caratterizzate da un’intensa risposta infiammatoria, che coinvolge diversi mediatori pro-infiammatori e l’alterazione di processi immuno-regolatori, in individui geneticamente predisposti, esposti a fattori scatenanti ambientali ed endogeni, inclusi i componenti della dieta giornaliera.

Il ruolo importante che la dieta svolge sulla salute umana, sia in generale sia più specificamente in condizioni croniche come l’artrite, è stato oggetto di molte controversie, con un impatto diretto sui pazienti, che sono i “consumatori” e richiedono più attivamente queste informazioni cruciali.

Ne parliamo con il Prof. Maurizio Cutolo, Direttore Laboratori di Ricerca, Divisione di Reumatologia e Scuola di Specializzazione in Reumatologia, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche (DiMI), Università di Genova, Policlinico Ospedale IRCCS  San Martino Genova, Chairman del Congresso Mediterraneo di Reumatologia giunto alla XVII edizione, che si svolgerà a Genova il prossimo 12-14 aprile.

Il tema dell’alimentazione e dello stile di vita in corso di artrite e, più specificamente, il potere dell’alimentazione nel contrastare i percorsi infiammatori e i sintomi della malattia e prevenire le complicanze, merita certamente più considerazione

Le culture occidentali potrebbero essere viste come il più grande nemico delle condizioni infiammatorie croniche come l’AR, per le quali l’aumento del consumo di carboidrati raffinati, oli vegetali ricchi di acidi grassi omega-6 e il ridotto consumo di acidi grassi omega-3 a catena lunga (tipo pesce) o diete ad alto contenuto di cloruro di sodio rappresentano “la perfetta tempesta nutrizionale”.

La supplementazione con vitamina D è una pratica più accettata, con un importante controllo della risposta immunitaria innata e adattativa, in particolare a seguito del crescente riconoscimento che l’insufficienza /carenza di vitamina D è una frequente osservazione in corso di malattie reumatiche croniche.

È interessante notare che il semplice cacao (cioccolata) è ora oggetto di crescente interesse a causa delle sue proprietà antiossidanti, che sono principalmente attribuite al contenuto di flavonoidi come l’epicatechina, la catechina e le pro-cianidine. Inoltre, i peperoncini piccanti (capsaicina) svolgono ruoli anti-infiammatori aumentando il numero di importanti cellule come i macrofagi anti-infiammatori (M2), modulando la risposta neuro-immune e diminuendo il dolore neurogenico (effetto locale).

A proposito delle bevande?

Il moderato uso di vino, quindi circa 300 ml al giorno, (meglio se vino rosso in quanto ricco di sostanze antiossidanti, contro “l’arruginimento” delle cellule), si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di artrite. Luce verde anche per l’uso del tè e del caffè in quantità sempre moderata.
Al contrario luce rossa per le bevande gasate e zuccherate artificialmente (specie fruttosio) capaci di generare un reazione infiammatoria intestinale e favorire la progressione dell’artrite reumatoide. Tale collegamento è stato recentemente dimostrato in uno studio su 200.000 soggetti caratterizzati da un aumentato rischio di sviluppare artrite reumatoide da uso eccessivo di bevande zuccherate e gassate.

Esistono comunque grossi studi di conferma sulla dieta mediterranea e prevenzione  dell’artrite?

Che la dieta mediterranea, quindi ricca di pesce, frutta, vegetali, olio di oliva e moderato uso di vino, sia veramente protettiva almeno sull’artrite, è stato finalmente provato da un lungo studio che ha valutato ben 170.000 soggetti. Coloro i quali nel tempo avrebbero sviluppato per esempio una AR erano significativamente minori rispetto a quelli che avevano fatto uso di diete meno “sane e protettive” di quella mediterranea.

Le vie principali di sviluppo delle malattie reumatiche croniche sono caratterizzate da un’intensa risposta infiammatoria, che coinvolge diversi mediatori pro-infiammatori e alterati processi immuno-regolatori, in individui geneticamente predisposti esposti a fattori ambientali ed endogeni. La ricerca su quest’ultimo si è tradizionalmente focalizzata su fattori scatenanti la malattia, come agenti microbici/virali, fumo di sigarette, ormoni e stress cronico, ma con meno attenzione ai fattori nutrizionali che influenzano la progressione e gli esiti della malattia, probabilmente anche attraverso meccanismi epigenetici. Sfortunatamente, il ruolo importante che la dieta gioca sulla salute umana in generale e più specificamente in condizioni croniche è stato oggetto di molte controversie, con un impatto diretto sui pazienti, che sono più frequentemente i ricercatori attivi e i “consumatori” di queste informazioni. L’impatto è stato evidente anche per i medici e per gli operatori sanitari che oggi si trovano spesso a dover rispondere a domande impegnative dei pazienti relative alla dieta e al suo impatto sulla malattia, alimentate da rilevanti “storie” sui social media e una maggiore riflessione sulle esperienze personali.

A parte l’AR stessa, dove c’è una nota predisposizione all’obesità centrale (tronco), i legami con comorbidità quali ipertensione, alterati livelli glicemici, sindrome metabolica (SM) e aterosclerosi, sono tutti fattori che aumentano il rischio di malattie cardiovascolari che richiedono ulteriore attenzione al soggetto.

Tuttavia, la natura immuno-infiammatoria dell’AR da un lato e dall’altro il maggiore riconoscimento del ruolo della dieta e dei nutrienti nell’insorgenza e nella progressione della malattia e delle comorbidità associate, finalmente ha recentemente avvicinato questi mondi paralleli.

Perché l’alimentazione non dovrebbe essere trascurata in corso di artrite?

Facciamo un passo indietro. Perché l’infiammazione conta davvero nell’artrite da una prospettiva nutrizionale e viceversa? Perché l’alimentazione è materia d’interesse da una prospettiva infiammatoria? Anche se non è una domanda semplice a cui rispondere, è noto che qualsiasi processo infiammatorio in corso, comporta effetti avversi sulla composizione corporea, tra cui in particolare la riduzione della massa muscolare e l’aumento della massa del tessuto adiposo. Il termine “cachessia reumatoide” è usato per descrivere questi effetti che, sebbene siano raramente evidenti, poiché la perdita di massa magra viene controbilanciata dal mantenimento o dall’aumento della massa adiposa, sono associati a prognosi sfavorevole.

Una preoccupazione crescente però è che i reumatologi affrontino lo stato nutrizionale o la composizione corporea nelle cliniche reumatologiche. Prove aneddotiche suggeriscono che questi importanti aspetti sono in effetti scarsamente affrontati e persino trascurati, il che rappresenta un rischio continuo che la cachessia reumatoide non venga diagnosticata o trattata oppure che vengano prescritte diete inadeguate.

Dagli anni ’80 e primi anni ’90, dove le iniziative di educazione alla salute hanno sostenuto il consumo di diete a basso contenuto lipidico, in tempi più recenti i grassi alimentari hanno sempre più riconosciuto un impatto positivo sulla salute. I benefici ad esempio degli acidi grassi omega-3  e degli acidi grassi mono-insaturi (componenti chiave della dieta mediterranea) nel controllo dell’attività di malattia in corso di AR e nella stabilizzazione delle placche aterosclerotiche avanzate (una importante comorbidità in corso di AR) sono stati dimostrati in studi clinici sull’uomo.

Recenti ricerche si sono concentrate sulla valutazione dell’efficacia di antiossidanti alimentari come le fito-molecole  e il coenzima Q10 (CoQ10), un antiossidante endogeno, con effetti positivi .
Più realisticamente, il cacao è ora oggetto di crescente interesse a causa delle sue proprietà antiossidanti, che sono principalmente attribuite al contenuto di flavonoidi come epicatechina, catechina e procianidine. Inoltre, il cacao è stato dimostrato esercitare un’attività regolatoria sulla secrezione di mediatori dell’infiammazione da parte di macrofagi e altri leucociti in vitro.

D’altra parte, la crescente idea che i componenti naturali della dieta possano influenzare i percorsi infiammatori che causano le patologie e quindi costituire obiettivi farmaco-terapeutici, ha incoraggiato molte persone con malattie reumatologiche muscolo-scheletriche a cercare modi alternativi di gestirle.
Ad esempio, è stato dimostrato che i probiotici riducono la citochina pro-infiammatoria interleuchina (IL)-6 in corso di AR, sebbene il modo in cui questo si traduca in effetti clinicamente evidenti non sia chiaro, sottolineando la necessità di sperimentazioni di alta qualità per indagare su questi collegamenti e dimostrare o confutare gli effetti sulla malattia clinicamente evidente.
Come altro esempio, le nano-polveri di ginseng rosso (NRG) utilizzato insieme al metotrexate nei topi artritici ha ridotto significativamente alcune citochine tra cui TNF-a, IL-6 e IL-1b oltre che i livelli di IgM e IgG1 e ha suggerito l’efficacia del ginseng rosso almeno nella prevenzione dell’AR di tipo II indotta da collagene nei topi.
Tali osservazioni su specifici nutrienti, inoltre, determinano lo sviluppo di domande sul valore dell’integrazione in corso di malattie infiammatorie croniche come l’AR.

Sebbene le origini della nostra comprensione della dieta e della malattia risalgano ai tempi paleontologici, sembra esserci un “risveglio” in merito a questi temi nei tempi moderni. Nonostante ciò, la nutrizione e l’impatto sulle patologie muscolo-scheletriche croniche, inclusa l’AR, rimane un argomento scarsamente insegnato, sia durante i corsi di medicina che durante la formazione in reumatologia.
Si potrebbe dire che affrontare la nutrizione nei nostri pazienti non è il “lavoro” di un reumatologo, ma piuttosto di un nutrizionista o di un dietologo. Mentre questo è in parte vero, i reumatologi sono quelli che si trovano faccia a faccia con i pazienti e le famiglie e il contatto con un nutrizionista potrebbe non essere sempre facilmente e prontamente disponibile o possibile. Pertanto sosteniamo che almeno alcune conoscenze di base in materia siano necessarie.
Prendiamo un esempio frequente quale il paziente con artrite che assume glucocorticoidi (cortisonici); quanto spesso gli stessi medici incoraggiamo la riduzione o l’eliminazione di carboidrati, zuccheri in generale e altri alimenti e bevande ad alto contenuto di zucchero? La questione diventa ancora più complessa in presenza di comorbidità come diabete, ipercolesterolemia, ipertensione, osteoporosi, ecc., dove ad esempio l’assunzione di zucchero, grassi e sale sono particolarmente rilevanti, così come la quantità di esercizio fisico, che sembra essere routinariamente malamente affrontato nelle cliniche.

Per ulteriore esempio, prevediamo che una dieta che limita l’apporto di sodio (sale da cucina) sia apprezzata da molte persone (sia professionisti della salute che laici) sia complessivamente benefica, ma quanti in realtà sanno che farlo in realtà può ridurre in modo importante la risposta infiammatoria in corso di artrite?
Di fatto, come confermato da studi clinici recenti, l’elevata quantità del sale di cloruro di sodio (sale da cucina), attiva i macrofagi pro-infiammatori (M1) e le cellule Th17 e diminuisce le cellule T regolatorie, tutti i giocatori cruciali nella patogenesi dell’artrite.

D’altro canto, fatto molto importante ed interessante, comuni patologie psichiatriche come la depressione e l’ansia costituiscono altre importanti comorbidità in corso di artrite che non solo possono essere una conseguenza della malattia, ma possono anche influenzare i risultati del trattamento e il raggiungimento della remissione. Una patologia psichiatrica può influire sull’aderenza al trattamento  ma anche sullo stile di vita e sullo stato nutrizionale, con esiti dannosi.
A questo proposito, si ritiene che gli integratori contenenti aminoacidi siano utili, poiché sono convertiti in neurotrasmettitori che a loro volta alleviano la depressione e altri problemi di salute mentale. Queste osservazioni mettono ulteriormente in luce il valore della personalizzazione dei regimi alimentari e il valore della correzione dello stile di vita e le loro rispettive comorbidità nei pazienti con AR.

In corso di terapia farmacologica,  come cambia l’alimentazione?

Concentrandosi sulla farmacoterapia dell’artrite come l’artrite reumatoide, non si possono ignorare gli effetti collaterali dei farmaci modificanti l’attività di malattia, incluso il farmaco di ancoraggio nell’AR, il metotrexate che causa una sorta di “malnutrizione iatrogena”, sia che ciò sia dovuto a nausea, stomatite, mal di stomaco, diarrea o altro. Per alcuni di questi farmaci, gli effetti collaterali gastrointestinali possono essere particolarmente importanti con conseguenze sullo stato nutrizionale e, quindi, indirettamente, sull’esito della malattia. Inoltre, all’uso diffuso e non ottimizzato dei glucocorticoidi possono essere “imputati” l’aumento di peso/BMI, l’osteoporosi secondaria, il diabete, l’ipertensione.

L’ulteriore interazione tra alcune di queste condizioni, ad es. un elevato indice di massa corporea con il diabete o l’ipertensione, aggiunge un ulteriore danno al carico di malattia in corso di AR.
C’è una forte evidenza in questa direzione per quanto riguarda gli effetti epigenetici (effetti sui geni del soggetto) durante la gravidanza, che l’aderenza alla dieta mediterranea durante lo sviluppo fetale costituisca un fattore chiave per la protezione dalla sindrome metabolica (SM). Il nostro gruppo sta lavorando in tale senso.
Inoltre, i trattamenti rivoluzionari per l’AR, come gli inibitori del TNF (TNFi) sono stati ormai per quasi tutto il ventunesimo secolo una pratica standard e nonostante il loro impressionante potenziale di ridurre o addirittura arrestare la sovra-espressione di citochine pro-infiammatorie, non sono efficaci da soli per esempio nell’aumento della massa muscolare e, di fatto, aumentano la massa grassa. Quindi, la “cachessia reumatoide” prima menzionata rimane spesso “silenziosa” e mal diagnosticata/trattata.
Infine, l’obesità, un problema di salute globale, rappresenta una comorbidità importante e sempre più frequente anche all’insorgenza dell’AR e sembra essere un determinante chiave della resistenza all’insulina, ancor più che le citochine pro-infiammatorie circolanti.

Considerando tutto ciò detto finora, il tema dell’alimentazione e dello stile di vita nelle artriti croniche e in particolare il potere dell’alimentazione nel contrastare l’infiammazione ed i sintomi di malattia o gli effetti collaterali del trattamento e la prevenzione delle complicanze, merita certamente più attenzione. I farmaci stessi, infatti possono gravemente determinare stati di malnutrizione e di malassorbimento che andrebbero maggiormente messi in luce.
Questo ci porta a sottolineare ulteriormente e concludere che la nutrizione non solo conta, ma soprattutto in corso di malattie infiammatorie reumatiche croniche svolge un ruolo nella progressione della malattia e sul suo esito.
Lavorare a stretto contatto in un team multidisciplinare con nutrizionisti/dietologi sarebbe certamente ottimale, ma non sempre è possibile. Pertanto, è sufficiente valutare le abitudini alimentari e identificare eventuali segnali di “allarme” e al contempo fornire almeno alcune informazioni dietetiche di base sotto forma di videoclip dedicati sui siti Web delle società nazionali o di volantini, per informare i pazienti sugli aspetti nutrizionali chiave delle patologie, fornendo così dei mezzi per affrontare meglio questi problemi. La società Europea di reumatologia (EULAR) si sta muovendo in questa direzione per l’educazione del personale sanitario e dei pazienti.

Bigliografia : Comunicato stampa
Fonti : http://www.mediterraneanrheuma.com/

mar 10 aprile 2018
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