La psicometria dell’alimentazione
Il rapporto tra assunzione di cibo, stati emotivi e stress è molto complesso.
Stress
È stato ripetutamente dimostrato che situazioni di stress tendono a ridurre l’assunzione di cibo nei soggetti a dieta libera, ma la incrementano in coloro i quali sono cronicamente a dieta. Inoltre, in presenza di eventi stressanti che agiscono sull’immagine di sé, i soggetti a dieta tendono ad assumere in quantità maggiori sia cibo gradevole al palato che alimenti non gradevoli. Allo stesso modo i soggetti obesi mangiano di più, quando sottoposti a stress, rispetto ai soggetti in normopeso.
Ipotesi
L’ipotesi del cibo come oggetto consolatorio afferma che l’assunzione di cibo è in grado di fornire conforto emotivo aiutando il soggetto obeso o a dieta ad attutire l’impatto dello stress. I soggetti predisposti a diventare obesi sono incapaci di distinguere tra la fame e gli stati emotivi negativi; essi tendono a mangiare in presenza di eventi stressanti, diventando progressivamente obesi.
Il cibo come distrazione è una seconda ipotesi che afferma come l’assunzione di cibo può fornire distrazione rispetto alle proprie preoccupazioni; una terza ipotesi sostiene che il soggetto obeso possa utilizzare il cibo come difesa o mascheramento.
Stima di sè e società
Un aspetto estremamente diffuso è il rapporto tra regime dietetico e bassa stima di sé. I fattori psicologici sono strettamente connessi con quelli ambientali e culturali; in modo particolare i mutamenti di costume avvenuti negli ultimi decenni parallelamente alla diffusione, nel mondo occidentale industrializzato, di un ideale di bellezza che privilegia la magrezza e che squalifica il sovrappeso. Il corpo piacente è un corpo magro, e la magrezza viene assimilata alla bellezza e alla salute, fisica e mentale. Il desiderio di essere magri si associa al desiderio di essere fisicamente attraenti e a quello di presentarsi come persone dotate di carattere e forza di volontà. Tale ambizione ha generato una marcata insoddisfazione per il proprio corpo e la propria immagine, largamente diffusa soprattutto tra gli adolescenti e le donne. L’incapacità di adeguarsi ai modelli estetici condivisi provoca sentimenti di incapacità.
A seguito della discrepanza tra il proprio aspetto fisico e i modelli estetici proposti dai mass media e socialmente accettati, molte persone si sottopongono a diete restrittive e ad attività fisica intensa favorendo l’insorgenza delle abbuffate; queste a loro volta inducono una maggiore restrizione, instaurando un circolo vizioso.
Test psicometrici
L’atteggiamento verso il cibo, la percezione della propria immagine corporea, l’importanza attribuita alla forma del corpo, stress, ansia o depressione possono influire sul comportamento alimentare, oltre agli stimoli fisiologici di appetito, fame e sazietà.
Questi fattori possono essere valutati tramite l’impiego di test psicometrici, ossia strumenti costruiti per misurare parametri psicologici, trasformandoli in grandezze numeriche. Questo porta a numerosi vantaggi:
- consente di trasmettere più facilmente le informazioni tra operatori sanitari diversi, in maniera comprensibile per tutti;
- facilita il follow up, rendendo più agevole la valutazione dell’evoluzione spontanea della sintomatologia o l’effetto di un trattamento;
- consente di raccogliere in maniera omogenea dati confrontabili su grandezze psicologiche, ed è quindi di grande importanza per la ricerca scientifica in questo ambito.
I test psicometrici si possono distinguere in due categorie principali:
- Questionari autosomministrativi: si tratta di una serie di domande a risposta multipla o, più raramente, in formato si/no, alle quali il paziente deve rispondere senza l’ausilio dell’esaminatore. A ciascuna risposta è attribuito un punteggio numerico secondo uno schema prestabilito; i punteggi delle varie domande vengono poi usati per calcolare i punteggi complessivi dei test. Nell’uso dei questionari autosomministrativi è importante che gli operatori non forniscano aiuti, spiegazioni o indicazioni.
- Interviste strutturate: si tratta di una serie di domande prestabilite, che l’esaminatore deve porre al paziente secondo una sequenza rigidamente predeterminata. Il paziente è libero di rispondere con le proprie parole; è compito dell’esaminatore assegnare alla risposta un punteggio numerico, seguendo un manuale dettagliato di istruzioni.
In generale, i questionari autosomministrativi sono di più semplice applicazione, in quanto non richiedono un impegno diretto dell’esaminatore. Le interviste però hanno il vantaggio di consentire un colloquio diretto con il paziente, che permette spesso di chiarire meglio la sintomatologia ed i comportamenti; inoltre, le interviste risultano più sensibili nei confronti di una eventuale dissimulazione.
Occorre ricordare che i questionari, per quanto validi e attendibili, non consentono mai di formulare diagnosi di certezza; al contrario, le interviste strutturate possono essere impiegate per ottenere diagnosi in maniera standardizzata.
Queste differenze si riflettono nei diversi impieghi clinici di questionari ed interviste: in generale, i questionari autosomministrativi sono più adatti per eseguire screening su popolazioni a rischio, mentre le interviste sono più tipicamente strumenti di approfondimento; sia i questionari che le interviste possono essere impiegati quali strumenti di valutazione nel follow up del paziente, per studiare la storia naturale della malattia o la risposta al trattamento.
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