Pancetta maledetta! Ecco perchè

Grasso sull’addome difficile smaltirlo
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Le cellule del sistema immunitario, interagendo con il sistema nervoso, controllano il metabolismo, anzi lo ‘inceppano’. Un gruppo di ricercatori di Yale ha scoperto che un tipo particolare di macrofagi che vive ‘in simbiosi’ con le terminazioni nervose del tessuto adiposo, blocca il segnale ‘sciogli-grasso’ trasmesso dalle catecolamine. Riducendo le concentrazioni dell’inflammasoma NLRP3, un recettore implicato nel controllo dell’infiammazione, il ‘difetto’ dei macrofagi senescenti viene corretto e il grasso tornava a ‘sciogliersi’

Man mano che gli anni passano, il grasso si accumula con sempre maggior facilità a livello dell’addome e questo porta ad un aumentato rischio di patologie croniche. Sistema nervoso e sistema immunitario parlano tra loro per controllare metabolismo e infiammazione. E uno studio pubblicato come ‘lettera’ su Nature suggerisce una possibile spiegazione al perché sia così difficile ‘bruciare’  il grasso viscerale, aprendo così la strada a possibili nuovi approcci terapeutici.

Gli ‘adulti-anziani’ – osservano gli autori dello studio – a prescindere da quanto pesino presentano un aumento del grasso viscerale; tuttavia quando devono consumare energia, lo fanno senza intaccare le riserve immagazzinate nel grasso addominale, o almeno non con la stessa efficienza di quando erano più giovani. Un grasso ‘testardo’ dunque, quello viscerale, molto difficile da smaltire. E fino ad oggi non si sapeva perché.

L’attenzione di Vishwa Deep Dixit, professore di medicina e immunobiologia comparativa e colleghi è stata attirata dai macrofagi, o meglio da un tipo particolare di macrofagi che risiediono nelle terminazioni nervose del grasso addominale; questi macrofagi che vivono in prossimità dei nervi tendono ad infiammarsi con passare degli anni e in questo modo non consentono ai neurotrasmettitori di funzionare normalmente.

Lo stesso gruppo di ricerca ha isolato cellule del sistema immunitario dal tessuto adiposo di topi giovani e vecchi, andando quindi a sequenziare il genoma per cercare di comprendere cosa fosse a causare il problema. “Abbiamo scoperto  – afferma Dixit  che i macrofagi ‘anziani’ sono in grado di distruggere un tipo particolare di neurotrasmettitore, le catecolamine. In questo modo non consentono agli adipociti di rilasciare l’energia, dal grasso addominale, quando la domanda aumenta”.

In una seconda parte dello studio i ricercatori americani hanno scoperto che, riducendo nei macrofagi ‘anziani’ le concentrazioni  di uno specifico recettore deputato al controllo dell’infiammazione, l’inflammasoma NLRP3,  le catecolamine tornavano a fare il loro lavoro, cioè a indurre il catabolismo del tessuto adiposo, esattamente come nei topini giovani.
In un altro esperimento, gli autori dello studio hanno scoperto che, bloccando un enzima, la monoamino-ossidasi A (MAOA) che risulta aumentato nei macrofagi ‘anziani’, si ripristinava il normale metabolismo del tessuto adiposo nei topi anziani. Questo enzima viene inibito anche  da farmaci utilizzati in clinica per il trattamento della depressione, ma è azzardato al momento pensare di poterli usare negli anziani per ‘risvegliare’ il loro metabolismo.

I prossimi step di questo gruppo di ricerca consisteranno nell’esaminare più in dettaglio le cellule del sistema immunitario e come queste interagiscono con le terminazioni nervose. Se il controllo dell’infiammazione nelle cellule immunitarie invecchiate può migliorare il metabolismo, potrebbe indurre anche altri effetti positivi sul sistema nervoso o sui processi legati all’invecchiamento in generale. Un filone di ricerca insomma che, studiando le interazioni tra cellule immunitarie e sistema nervoso, cerca di trovare la strada per ridurre il grasso viscerale, stimolare il metabolismo e migliorare le performance nell’anziano.

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