Lo zucchero è nemico del cuore: si sapeva dagli anni ’70

Un lavoro pubblicato ora su PLoS Biology
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Una ricerca dai risvolti inquietanti, insabbiata quasi mezzo secolo fa,torna a galla e fa gridare allo scandalo. Protagonista della vicenda la cosiddetta ‘sugar industry’ che di fronte all’iniziale evidenza di un’associazione tra il consumo di zucchero e patologie importanti, quali malattie cardiovascolari e cancro della vescica, ha interrotto lo studio, impedendone – pare – la pubblicazione dei risultati preliminari.

A tirare fuori gli scheletri dall’armadio ci hanno pensato Cristin Kearns e colleghi dell’Università della California di San Francisco che hanno pubblicato su PLoSBiology un’analisi di documenti reperiti negli archivi della Sugar Research Foundation. I dati contenuti in questa ricerca di fatto smentiscono che il consumo di zucchero non abbia un impatto sulle patologie croniche e rivelano che ‘Big Sugar’ era a conoscenza di questo effetto ‘scomodo’ di bibite e alimenti dolci, sin dagli anni ’70.

“L’industria della zucchero – commenta la Kearns – ha speso una quantità rilevante di denaro per indagare gli effetti dello zucchero sulla salute, ma era interessata a pubblicare soltanto i risultati che esoneravano lo zucchero”.
Una storia che sembra ricalcare quanto accadeva in quegli stessi anni con l’industria del tabacco; il coautore della Kearns è quello Stanton Glantz (professore di medicina alla UCSF) che ha dato un importante contributo nello svelare che le compagnie del tabacco sapevano da tempo che la nicotina induce dipendenza e che il fumo provoca il cancro, ricorda The Times.

Lo scorso anno, il New York Times aveva rivelato il contenuto di alcuni dei documenti di archivio scoperti dalla dottoressa Kearns che dimostravano come l’industria dello zucchero negli anni ’60 aveva lanciato una campagna volta a controbilanciare ‘l’attitudine negativa nei confronti dello zucchero’. Campagna orchestrata da John Hickson che, negli anni seguenti sarebbe passato nelle fila dell’industria del tabacco. Parte della ‘campagna’ Hickson a favore dello zucchero, scrive il New York Times, consistette nel pagare profumatamente due importanti scienziati di Harvard, per pubblicare nel 1967 una review che minimizzava l’associazione tra zucchero e patologie cardiovascolari, addossando tutta la colpa ai grassi saturi.

Lo studio oggetto dello scandalo-insabbiamento (il cosiddetto ‘Project 259’) era stato commissionato dalla Sugar Research Foundation all’Università di Birmingham che, a fronte di un finanziamento pari a circa 190 mila dollari di oggi, avrebbe dovuto esaminare il  ruolo del microbiota intestinale nel processamento dello zucchero e dell’amido in ratti e cavie normali o privi di microbiota (germ-free). L’idea di fondo era quella di arrivare a smentire che, a parità di calorie rispetto agli amidi, lo zucchero potesse avere un effetto negativo sulla salute in quanto metabolizzato in modo diverso dal microbiota.

I risultati preliminari dello studio (gli autori avevano richiesto un supplemento di fondi per prolungarlo di 12 settimane, ma i soldi non sono mai arrivati), conclusosi nel settembre 1970, avevano evidenziato delle differenze tra gli animali nutriti a zucchero e quelli alimentati ad amido, indicando un possibile meccanismo attraverso il quale lo zucchero porta ad un aumento dei trigliceridi. “I risultati preliminari di Project 259 – scrivono gli autori dello studio pubblicato su PLoS Biology – qualora confermati dal completamento della ricerca e pubblicati, avrebbero supportato la tesi di un effetto ‘aumenta trigliceridi’ dello zucchero.”

Non è noto cosa abbia impedito ai ricercatori di Manchester di pubblicare almeno questi risultati preliminari, ma gli autori del paper di PLoS, come visto, avevano già dimostrato in passato che la Sugar Research Foundation aveva finanziato in segreto la review pubblicata su New England Journal of Medicine e quindi il sospetto che qualche ingerenza anche sulla mancata disclosure di questi dati ci sia stata, appare verosimile.

Ironia della sorte vuole poi che questo studio ‘secretato’ abbia avuto come oggetto il microbiota intestinale, argomento oggi di gran moda, ma che all’epoca di questi fatti rappresentava un campo di esplorazione assolutamente pionieristico.

E il commento lapidario, rilasciato al BMJ da Adriane Fugh-Berman del gruppo PharmedOut presso la Georgetown University di Washington (USA) è che “non si può dar credito alle ricerche dell’industria, vista l’omissione di alcuni risultati”. Dal canto suo Glantz ha dichiarato a The Times che l’industria non fa altro che mettere in questione la scienza, cercando di presentarsi come un interlocutore legittimo nel dibattito scientifico e facendo in realtà advocacy per difendere i suoi interessi, piuttosto che scienza.

Anche la Sugar Association statunitense ha inteso far valere le sue ragioni rilasciando una sua nota di commento al lavoro pubblicato su PLoS Biology: “non si tratta di uno studio vero e proprio ma di una prospettiva: un insieme di speculazioni e assunzioni su eventi accaduti quasi 5 decadi orsono, condotti da un gruppo di ricercatori e finanziati da individui e organizzazioni note per l’atteggiamento critico nei confronti dell’industria dello zucchero”. Dopo aver visionato i propri archivi, la Sugar Association è giunta alla conclusione che questo studio sia stato interrotto per vari motivi: i ritardi della conduzione dello studio stesso che lo hanno fatto andare fuori budget e il fatto che sia stato condotto mentre era in corso una ristrutturazione organizzativa, al termine della quale la Sugar Research Foundation è diventata una nuova entità, ovvero la International Sugar Research Foundation.

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Fonti :

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